Donne, lavoro emozionale e organizzazione
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Nel 1983 Arlie Hochschild pubblica il libro “The Managed heart”, dove descrive il concetto di “lavoro emozionale”.
La sociologa americana parte dall’osservazione durante le sue ricerche, del comportamento delle hostess di volo, abituate a mostrare durante il lavoro, emozioni diverse da quelle che probabilmente provavano in realtà. Per questo definisce il lavoro emozionale come “il controllo dei sentimenti per creare manifestazioni corporee e facciali osservabili pubblicamente”.
Questo concetto, che definisce i comportamenti e la gestione delle emozioni nei posti di lavoro, vale sia per le donne che per gli uomini.
Da quando è stato coniato, questo termine ha negli anni, generato approfondimenti e sempre di più il suo significato è stato allargato alle relazioni familiari, finendo per indicare tutto quel carico di lavoro non pagato che spesso ricade sulle donne.
In una recente intervista Hochschild si dice inorridita da questo cambiamento, soprattutto da quello che ritiene uno dei più grandi cambiamenti di significato: gran parte della conversazione sul lavoro emotivo ha lasciato la sua sfera originale del posto di lavoro e si è trasferita a casa.
Il lavoro emozionale e lo smart working
Il lavoro emozionale – continua Hochschild- è il lavoro, per il quale sei pagato, che coinvolge centralmente il tentativo di provare la giusta sensazione per il lavoro. Ciò comporta evocare e reprimere i sentimenti. Alcuni lavori ne richiedono molto, altri un po’ meno.
Leggendo vari articoli e ricerche su questo argomento, sono convinta che il lavoro emotivo sia trasversale, e senza genere. Mi sono però posta una domanda: che cosa succede oggi ai tempi del Covid-19, dove anche il lavoro “pagato” viene svolto a casa? Che cosa succede alle emozioni? Le persone riescono a trovare il modo di gestirle a seconda del momento – lavoro o famiglia – in cui si trovano? E se – come dicono Diefendorff, Croce e Gosserand (2005) il lavoro emotivo si riferisce alla gestione ed espressione delle emozioni in linea con le richieste dell’ambiente circostante e delle aspettative, se sto in casa a quale ambiente mi riferisco? Come considero la riunione virtuale, dove altre persone “entrano” in casa mia, magari nella mia camera da letto o vedono i piatti sul piano della cucina? E quali sono le aspettative che ho nei confronti della mia famiglia, del mio capo, dei miei colleghi?
Il lavoro emotivo e i ruoli
Lo studio del 2019 del Boston Consulting Group, analizza il peso delle attività famigliari svolte dalle donne nella conciliazione tra vita privata e lavoro.
Come riportato da Valore D “lo studio – basato su interviste a più di 6.500 lavoratori di diversi settori in 14 paesi nel mondo tra cui l’Italia su attività domestiche comuni come la spesa, la cucina, le pulizie, il pagamento di bollette o la cura del giardino – rivela che in una relazione con entrambi i partner che lavorano una donna ha la maggior responsabilità delle faccende quotidiane rispetto al partner uomo: 2,5 volte superiore per quanto riguarda il bucato, 2,1 per la cucina, 1,8 per le pulizie, 1,6 per la spesa.[…] Questo doppio ruolo equivale a una presa in carico del 75% del totale delle responsabilità famigliari, che sottraggono non solo energie fisiche, ma anche mentali. Questo si riflette anche nel minor tempo di cui le donne possono disporre per concentrarsi sulla carriera dedicandosi, ad esempio, al networking, o alla ricerca di nuovi incarichi o ai viaggi di lavoro.”
Questo tema è centrale, e tutta la parte emotiva che comporta, ha un grande impatto sul benessere e sul “livello di felicità” di una donna.
Se questo è vero, abbiamo in questo momento, dove i partner sono insieme in casa, l’occasione di provare a modificare questi dati.
Il lavoro emozionale e l’organizzazione
Nel 2017 una ingegnere informatica francese, Emma, ha pubblicato un libro a fumetti, tradotto in italiano con “Bastava chiedere”.
Il libro è una analisi sarcastica e spietata, del perché siano le donne a dover occuparsi della gestione della casa e di tutto quello che ne ruota intorno ma, anche, di quali meccanismi portano gli uomini a sentirsi spesso “ospiti” in casa propria, o a diventare meri esecutori di compiti che gli vengono affidati.
Nel 2017, Indesit lancia la campagna #DoItTogether proprio per sensibilizzare l’importanza di condividere la gestione domestica, e cercare i ribaltare gli stereotipi.
Qualche suggerimento
Non sono una specialista in terapia di coppia, ma nonostante il mio compagno sia molto partecipe alla gestione domestica, abbiamo nel tempo affinato alcune strategie che voglio condividere:
Quantificare il problema e comunicare apertamente
Accettando il fatto che abbiamo punti di vista e necessità diverse, non diamo per scontato che i piatti nel lavandino diano fastidio a entrambi, che se ho la riunione online tutti debbano stare in silenzio o che – come diceva Conrad – se guardo fuori dalla finestra, sto lavorando e non posso essere disturbato. Quindi, se ci sono cose che ci danno fastidio, che troviamo ingiuste o che non capiamo, parliamone e cerchiamo una soluzione. Vi stupirete di quanto spesso si possano risolvere le cose con l’organizzazione.
Fare le riunioni di famiglia
Una delle attività più costruttive che io conosca, e che consiglio a tutti. Io non ho figli, ma le faccio lo stesso. A seconda dei momenti anche tutte le settimane. Adesso condivido il calendario con telefonate, riunioni online e le mie varie attività lavorative dove “faccio rumore” che devo conciliare con un compagno compositore, che ha bisogno di silenzio e di suonare. Ma si condividono anche i film da vedere, i viaggi che – speriamo- torneremo a fare e la spesa settimanale, che tra attese, tempi contingentati varie esigenze alimentari, va pianificata e soprattutto condivisa.
Dare delle priorità
Ho due frasi che sono un po’ la mia guida spirituale, soprattutto nei lavori domestici: non si può fare tutto e buono abbastanza.
Se sono consapevole delle mie priorità e di quelle degli altri so anche che cosa delegare e a che cosa rinunciare.
Il fatto che stiamo tanto tempo in casa non ci deve far sentirei in obbligo di avere pavimenti lucidi o finestre cristalline. Se fossimo state in ufficio ci saremmo sentite nello stesso modo? E poi, è veramente importante?
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